Naturalmente, questa ventata di ottimismo economico statunitense giunge in un momento in cui gli altri Paesi del mondo continuano ad affrontare venti contrari.
Le ultime rilevazioni PMI di gennaio hanno evidenziato una continua contrazione nell'eurozona - che si trova ad affrontare rischi sempre maggiori di crescita al ribasso/inflazione al rialzo a causa delle tensioni geopolitiche in corso - mentre le prospettive della Cina restano fosche, soprattutto dopo che nel fine settimana le autorità di regolamentazione si sono impegnate in modo piuttosto vago a "stabilizzare" i mercati, senza alcun dettaglio, e con gli investitori che continuano ad attendere un pacchetto di stimoli fiscali "shock and awe" che per ora sembra improbabile.
Ciò, senza sorpresa, sta mettendo sotto pressione anche l'AUD e l'NZD, che continuano a mostrare un elevato beta agli sviluppi della seconda economia mondiale. Francamente, un breve controllo incrociato del contesto macro suggerisce poco di attraente oltre all'USD; forse, forse, lo JPY se si considera la BoJ come un outlier restrittivo tra le banche centrali del G10 e se si prevede un rally dei Treasury nel medio termine.
Mentre le prospettive fondamentali continuano a indicare un ulteriore rialzo dell'USD, in particolare se si esclude il residuo di 4 pb di allentamento previsto per il FOMC di marzo, le prospettive tecniche cantano un inno simile. La maggior parte delle valute del G10 è scivolata, o è molto vicina a scivolare, sotto le rispettive medie mobili a 200 giorni, un indicatore classico e fondamentale del momentum di lungo periodo nel settore dei cambi.